L’illustrissimo
professor Rolando Cadorno nacque nelle Marche, in un paese di 15.000 anime, quando
ancora la sera si riunivano tutti nei bar per vedere la televisione.
Era
un bambino gracile e giallognolo e, per quanti sforzi facessero i genitori, non
gli si poteva far fare assolutamente nulla.
Per
diciotto anni della sua vita si limitò a vivere l’essenziale come quelle zecche
che restano immobili attaccate a un muro aspettando il momento buono per
lasciarsi cadere su un cane di passaggio.
Il
momento buono arrivò nel settembre del 1963 quando, sbalordendo tutti, il
giovane Rolando superò i test d’ingresso della Facoltà di Giurisprudenza della
città, arrivando primo in graduatoria.
Farò
il magistrato – disse ai genitori che lo guardavano come uno sconosciuto. Era
la prima volta che mostrava di sapere che esistesse il tempo futuro.
Andò
a vivere da solo nella grande città universitaria e letteralmente scomparve,
ingoiato dai codici e dai manuali.
Riemerse
quattro anni dopo un po’ più giallo e con una pergamena di laurea del suo
stesso colore stretta in mano.
Vinse
il concorso di magistratura e iniziò la sua ascesa nell’ordine giudiziario.
Divenne
noto, ben presto e suo malgrado, per essere un giudice rivoluzionario.
Erano
gli anni in cui un pugno di gente levava un gran polverone mettendo ogni cosa
in discussione. Il sistema giudiziario era perennemente sotto attacco e, se
esplodevano le bombe di tanto in tanto nelle piazze e nelle stazioni,
sistematicamente i giudici venivano falciati fuori dai tribunali.
Mentre
molti dei suoi colleghi davano le dimissioni, riparavano all’estero o
resistevano coraggiosamente, il giovane giudice Cadorno non faceva nessuna di
queste cose.
Semplicemente
continuava il suo lavoro come aveva sempre fatto, passando in mezzo alle
sventagliate di proiettili come in mezzo allo sferragliare dei tram.
Entrava
nella sua aula e dava le sue sentenze senza badare né alle blandizie degli
avvocati né agli insulti dei bombaroli.
Si
fece così la fama di coraggioso, giusto, incorruttibile.
Quando
i giornalisti presero a intervistarlo e gli chiedevano se pensasse che i
brigadisti dovessero difendersi da soli, rifiutando gli avvocati, rispondeva
pensoso: perché no?
Quando
gli domandavano a chi dovessero appartenere i diritti civili, rispondeva: a chi
li vuole.
Divenne
così il paladino dei progressisti e dei garantisti e il simbolo delle lotte per
l’autodifesa in tribunale e la cittadinanza universale.
Si
ritrovò iscritto al PCI, per volontà dello stesso Berlinguer, e alla Magistratura
democratica.
Lo
portavano sui palchi e quando iniziava a parlare si faceva sempre un silenzio
di tomba, anche perché aveva un tono di voce talmente flebile che nessuno
riusciva effettivamente a capire cosa dicesse. Anche i più feroci e arrabbiati
oppositori politici che lo affrontavano nei dibattiti, dopo un po’ tacevano
spiazzati, perché sembrava che stessero litigando con sé stessi.
Quando
i tempi andarono poco a poco calmandosi e nessuno più ammazzava i giudici fuor
dai propri desideri, Cadorno lasciò così, come era arrivato, la carriera
giudiziaria. Pur di non perderlo, allora, lo fecero professore onorario e lo
misero su una cattedra all’Università.
Nel
suo scranno da professore, il giudice Rolando Cadorno finì poco a poco nel
dimenticatoio pubblico. La cosa non parve turbarlo.
Gli
studenti lo imitavano nei corridoi chiamandolo Professor Cadavere, i colleghi
lo ignoravano e la politica sembrava aver deciso di fare a meno di lui. La
stella dell’esimio prof. Cadorno sembrava esauritasi in sé stessa, e tutti si
comportavano come se fosse stata una svista, una cosa un po’ imbarazzante che
aveva accomunato tutti su cui si doveva tacere.
Il
prof. Cadorno continuava a insegnare e a scrivere libri.
Per
una strana catena di eventi, spiegabile solo con l’insondabilità dei meccanismi
editoriali, i libri del professor Cadorno, che in Italia non leggevano neppure
i suoi studenti, finirono tradotti in spagnolo e venduti a man bassa nelle
università del piccolo ma turbolento Stato sudamericano del Benedicto.
In
capo a una decina d’anni non c’era nessun studente di diritto in Benedicto che
non conoscesse il nome dell’Illustre professor Cadorno. Era diventato il
simbolo e l’archetipo del grande diritto occidentale che – partendo dai
gloriosi giuristi latini, Cicerone, Gaio e Giustiniano, passando per i
glossatori medievali e i grandi illuministi settecenteschi – si era convogliato
tutto in quel piccolo uomo.
Allora
accadde che in Benedicto venne indetto un concorso con in palio una borsa di
studio che prevedeva un breve viaggio in Europa, a vincerlo fu Josè Eduardo
Pinilla, giovane appassionato ricercatore. Il giovane appassionato benedictino
era allora volato in Italia per andare a conoscere il grande professor Rolando Cadorno
e invitarlo a onorare il loro Paese con la sua presenza. Avrebbero voluto
mandare un ambasciatore a farlo, ma il governo era caduto l’ennesima volta e
ogni volta che succedeva si cambiavano costituzione e tutti i rappresentati
ufficiali dello Stato. Alle volte non avevano neanche il tempo di togliere le
vecchie targhette d’ottone dalle porte degli uffici.
Il
giovane appassionato José Eduardo ebbe un primo momento di scoramento quando,
facendo tappa nelle varie università italiane, gli studenti e i professori con
cui chiacchierava mostravano di conoscere poco e niente il grande professore.
Era perfino pressoché impossibile trovare le sue opere nelle biblioteche. Il
secondo, quando, arrivato nella sua università della Città grande, s’imbatté in
un professore che si riferì a Cadorno in questi termini: lombrico inesistente,
emerito cretino, ameba addormentata. Sebbene turbata da questi eventi, la sua
fede non ne fu scalfita. Pensò che fossero dovuti alla modestia del grande
professore, che preferiva restare nell’anonimato, nel primo caso; e ad errori
di comprensione dovuti al suo scarsissimo italiano, nel secondo.
Quando
giunse tremante al cospetto del Professore quasi svenne quando al suo elaborato
invito, che si era ripetuto in testa più volte nel viaggio in aereo e poi in
treno, l’illustre Maestro rispose, scrollando le spalle: se lo desiderate.
Partirono
insieme per il Benedicto una settimana dopo, il tempo di ottenere tutti i visti
e i timbri sul passaporto.
All’arrivo
dell’aereo nella capitale, già lo aspettava una folla di gente e la banda
universitaria. I professori erano vestiti in gran pompa e il Rettore indossava
l’ermellino.
Avevano
organizzato per il Professore una serie di sue conferenze in varie università
del Paese. Dapprima si svolsero nelle aule ad anfiteatro, poi nelle grandi aule
magne. Alla fine le spostarono nei teatri cittadini. Tanta era la folla, non
più fatta di soli studenti, che voleva ascoltarlo o anche solo vederlo per un
momento. Vennero messi i maxischermi fuori delle piazze e certe grosse casse
acustiche alte come un bambino di dodici anni.
L’eccitazione
diffusa poteva paragonarsi solo a quella di una visita del papa o di una rock
star inglese.
Inevitabilmente
sfociò in una nuova rivoluzione, cadde il governo, si volle cambiare ancora una
volta la costituzione. Si decise all’unanimità che a scriverla fosse
l’illustrissimo Prof. Rolando Cadorno e così avvenne.
La
Costituzione Cadorno fece scalpore anche fuori dal Benedicto, era qualcosa di
mai tentato prima: veniva stabilito il suffragio universale con la maturità ai
sedici anni di età, veniva eliminato l’ergastolo e introdotta la possibilità di
difendersi da soli in tribunale. Ma soprattutto venne sancita la cittadinanza
universale. Chiunque arrivasse in Benedicto godeva automaticamente dei diritti
civili benedictini – niente controlli niente frontiere niente dazi – potevano
votare, potevano ricevere i sussidi e la pensione e accedere alle cariche
politiche, per il solo fatto di essere sul suolo dello Stato.
Il
Benedicto venne celebrato come un’utopia, un sogno moderno, avanzato e democratico,
il mondo nuovo.
All’aeroporto,
i più grandi onori vennero tributati al Prof. Cadorno quando ripartì. Baciò
bambini e belle ragazze in costume tipico, gli consegnarono una medaglia ad
onore e le chiavi del municipio, lo pregarono di rimanere e rivestire la carica
di Presidente della Repubblica, lui ringraziò e poi chiese a che ora partiva il
suo aereo. Lo interpretarono come un gentile ma netto rifiuto.
Non
lo sentirono più per cinque anni. Anni in cui il Benedicto, a causa del suo
sistema giudiziario fortemente permissivo e mite, all’assenza di frontiere e
dazi, alla cittadinanza universale e la possibilità data a chiunque di
ricoprire cariche politiche, divenne il paese con la criminalità più alta di
tutti i tempi, il fulcro del traffico di cocaina del Sudamerica, il centro del
riciclaggio di denaro sporco e la roccaforte politica dei Signori della droga.
Le persone presero a maledire a mezza bocca, poi sempre più forte, il nome di
Rolando Cadorno, poi non ce la si fece più. Scoppiò la rivoluzione, il governo
malavitoso e corrotto venne rovesciato, la costituzione cadorniana venne
abbandonata con disonore e nessuno ne volle mai più parlare. Venne revocata la
cittadinanza e l’onorificenza tributata al professore italiano e fu vietata la
distribuzione e lo studio dei suoi libri.
Di
tutto questo il vecchio professore non ne fece conto o forse non ne seppe
veramente nulla. Aveva ormai superato gli ottant’anni e continuava a vivere
così come sempre aveva vissuto.
Morì
poco dopo nel suo letto con la sua espressione solita e il colorito della pelle
che da giallo era diventato un avorio fragile e stinto.
Nessuno
oggi mostra di ricordare il suo nome o quanto nella sua vita abbia realizzato.
Rimango io solo a dare testimonianza della sua esistenza straordinaria.
La
Gonda, Benedicto, 3 marzo 2025,
Prof.
José Eduardo Pinilla.