lunedì 12 dicembre 2016

Salerno doppia faccia

Foto di Francesca Bifulco

Salerno doppia faccia, come una moneta.
Salerno dei veleni sotterranei e dei pare brutto che nascondono la bocca.
Città del sud che si crede sola. Signora vecchia chiusa nella sua vecchia casa, con le spalle voltate alla finestra.
Città di mare che ha dimenticato il mare.
Città di industria che ha perso le sue industrie.
Salerno a vocazione commerciale. Mette su un sorriso da venditore che ti mostra la sua merce scaduta e ti disprezza perché gliela vuoi comprare.
Città cieca che non ama la bellezza. E dentro una bellezza struggente che sa di tufo del quattrocento e di salsedine di mare.
Salerno, città piana e conservatrice, cova a mezza bocca un rancore chiuso, nostalgia di un Principato estinto. In alto, in bilico sulla collina, il castello Arechi, che pare guardare in giù e volersi buttare per non dover sopportare un’altra festa di diciott’anni o un matrimonio a tema mare.
Salerno, città europea, della ricostruzione architettonica e Bohigas e Zaha Adid e un Crescent che ha smesso di crescere. Fiera di qualcosa che non le appartiene. Si offre a innesti artificiali, nella speranza di sembrare diversa ma nella segreta volontà di rimanere uguale.
Salerno una città che si risveglia lenta, guardinga, una cultura carbonara che striscia per i suoi vicoli del centro storico, che scrive poesie sui muri e sulle scale, che disegna la sua voglia di cambiare.
Una città che sa dimenticare le cose grandi che un giorno per caso le è capitato di ospitare. Ma che non dimentica mai un piccolo torto familiare.
Salerno con i muri impregnati di milza fritta, con il patrono esattore delle tasche, dal cuore di portamonete che si apre solo per incassare. Salerno che si lega al dito lo sgarbo fatto dal comune al santo comunale.
Una città di fazioni in lotta, di quartieri in astio, di condomini in guerra. Di figli delle chiancarelle, di figli delle fornelle, di figli della zona orientale, di figli di mercatello. Discendenze infinite, linee rette, barriere chiuse. Mai nessuno che voglia adottare.
Salerno una città che non ho saputo amare. Rimpianto segreto della mia vita vagante.
Porto in cui tornare.
Perché il suo golfo ha la forma di fornace e il sole potente delle otto produce minuscole scintille di fuoco su un mare di metallo, come se qualcuno vi stesse affilando il cielo contro.
Perché a mezzogiorno nella piazza di Torrione i vecchi giocano a carte, portandosi da casa le loro sedie, in gruppi intenti, e i bambini urlano correndo in una cadenza familiare.
Perché alla sera, alle sette, il lungomare ha la dolcezza di quel filo di luce rosata e morbida che rimane subito dopo il tramonto e ogni cosa per un istante diventa bellissima da guardare.
Perché la notte pulsa di una vita feroce che non vuole mollare la presa e mai in nessuna ora lascia che la città si spenga.
Doppia faccia anch’io, Salerno. Perché ti fuggo e non faccio altro che voler tornare.
Salerno, in cui un giorno qualcuno scrisse: questo voler partire, questo voler restare.
Foto di Francesca Bifulco

Foto di Francesca Bifulco

Foto di Francesca Bifulco

Foto di Francesca Bifulco