Davanti alla scuola che
frequento, in un quartiere povero e multietnico, c’è un parchetto incantato.
Nel centro riposa, che sembra veramente addormentata come un gufo che dorme con
la testa sotto la sua ala, una mongolfiera. E’ una visione incredibile. Lì,
immobile, tra quattro alberelli sottili, questo pachiderma leggero e bianco,
tenuto fermo con una decina di funi, proprio come se appartenesse a un circo.
Tutte le volte in cui ci sono passata davanti, l’ho sempre vista là, ferma e
prigioniera, e mi sembrava magnifica ma anche un po’ triste, un grosso
meraviglioso uccello incastrato tra le corde.
Oggi pomeriggio, ho
sentito che c’era qualcosa di diverso nell’aria, un fermento.
Ho prima visto un uomo
che iniziava ad armeggiare con le sue funi, poi ci entrava dentro e rimaneva
lì, nascosto alla mia vista. Ho pensato facesse manutenzione.
Poi l’aria si è messa a
vibrare e dopo un primo stordimento ho capito cosa fosse: erano minuscole,
sottili, voci di bambini che diventavano sempre più forti e sempre più vicine,
finchè non sono apparsi alla mia vista, piccolissimi, in fila per due, vestiti
con divise tutte uguali e colorate, che ridevano e scherzavano. Appena hanno
svoltato l’angolo e hanno visto il grosso uccello rotondo, hanno preso ad
urlare eccitati e lo indicavano e allora ho guardato anche io e mi sono accorta
che si stava svegliando.
Lei, che non avevo mai
visto viva, si iniziava a muovere piano, come se si stiracchiasse cautamente,
senza credere di poterlo fare davvero dopo tanta immobilità.
Un secondo uomo si era
unito al primo ad allentare e sciogliere funi. Nel frattempo i bambini erano
arrivati là sotto e rumoreggiavano intorno come pulcini, io temevo che, dopo
tanta immensa immobilità, tutta quella minuscola e velocissima vita fosse
troppo per la mongolfiera, un risveglio troppo traumatico. Ma in realtà
sembrava farle bene.
Dopo poco sembrava
ringalluzzita e prese a salire, in verticale, come peter pan che decolla da
fermo con la sola forza dei pensieri felici. Doveva avere quell’enorme testa
completamente piena di pensieri felici, in quel momento.
Quando la sua testa fu finalmente e per la prima volta, a mia memoria, al di
sopra di quei quattro alberi suoi secondini, io la sentii potentissima: la sua
brama di cielo.
Ora il suo interesse per i bambini mi sembrava
passato, era solo il cielo che sentiva e presagiva. La vedevo rabbrividire dal
desiderio e dal piacere. Mi prese una paura irrazionale, che qualcosa potesse
andare storto, che all’ultimo momento i due uomini decidessero che ci fosse
troppo vento o che non fosse sicuro per i bambini e le passassero di nuovo
tutte quelle funi attorno senza averla fatta volare.
Il tempo passava ma non si decidevano a far
salire i bimbi e lasciarla andare. Io dovevo entrare a lezione, ma non riuscivo
a staccarmi di là, senza sapere se ce l’avrebbe fatta, se avrebbe placato quell’enorme
brama di cielo che avvertivo. Alla fine mi decisi e rientrai nella scuola.
Dopo una decina di minuti però non riuscii più a trattenermi, mi ero accorta di
non sentire nulla della lezione e che tutta la mia testa era riempita di quel
pallone. Corsi via.
Arrivata al portone
sentii un forte odore di bruciato, ebbi paura e corsi più forte. Uscii all’esterno
e vidi il parco di fronte a me. Vuoto. La mongolfiera era sparita, i bambini
anche. C’era un enorme vuoto tra gli alberi, come un cratere lasciato da un
meteorite.
Poi scorsi un’unica
sottilissima fune, fissata ad un paletto, che quasi non si vedeva. La seguii
con lo sguardo, in alto sempre più in alto, tanto che dovetti buttare indietro
la testa, e lei era là, all’altro capo della fune, bellissima leggera felice. Cavalcava le correnti, non sembrava più enorme e sproporzionata, era giusta,
era delle dimensioni perfette per quel cielo.
Ero così contenta per
lei e avvertivo così tanto la sua gioia e la sua soddisfazione che non riuscii
neppure a dispiacermi per quell’unica fune rimasta che le impediva di volarsene
via per sempre.
Aveva avuto il suo
cielo. Se lo stava bevendo, con le nubi e col vento. Questo, lo sentivo, le
sarebbe bastato per covare felicità per altre centinaia di giorni sulla terra.