Omaggio
a N. G.
Io
sono convinta di non sapere quasi niente e quel po’ che so tendo a
dimenticarlo. A volte mi convinco di non amarlo oppure mi dimentico che lo amo
e glielo dico e penso che ne resterà distrutto. Lui non ne rimane distrutto
perché sa già sempre tutto quello che mi accade dentro, mentre io credo di rivelargli
chissà quale terribile segreto. Non sono le cose che sa a distruggerlo ma
quelle che non sa, dietro alle quali si strugge e diventa smunto e pallido
finché non le capisce. Quando litighiamo io arrivo ad odiarlo, lo odio davvero
e senza riserve. Lui invece aspetta, angosciandosi, che torni a casa e fuma le
mie sigarette e beve le bevande che bevo io e legge i libri che stavo leggendo.
Io in preda alla furia sono sicura di lasciarlo e proprio quando ne sono più
sicura mi assale una nostalgia lancinante e penso a lui non in ricordi precisi
ma in una nube di sensazioni in cui lui è un vapore tiepido e benefico che
avvolge tutte le cose e tutte le cose rende immensamente necessarie e tenere.
Quando
stiamo bene insieme lui è felice e ha quel muso soddisfatto da gatto al caldo,
io invece mi chiedo tutto il tempo se stiamo bene per davvero o è forse che ci
abituiamo. Lui sa che me lo chiedo in testa continuamente, allora mi dice che
stiamo bene insieme per davvero e quando lo dice io capisco che quella è la
verità con cui lui ha un rapporto amico e spontaneo, io invece no, avendo fin
da bambina difficoltà a distinguere tra quella e i mondi che tengo inventati
nella mente.
Quando
ancora viveva dai suoi, la madre lo svegliava ogni mattina con il latte caldo e
lo investiva di chiacchiere e di fatti. Io non mi sveglio mai quando esce di
casa la mattina presto, ma a volte è lui che mi porta il caffè caldo, felice di
fare con me come sua madre con lui, e però non mi parla di chiacchiere e di
fatti perché a entrambi non piace parlare appena svegli. Amiamo però discorrere
in certi momenti e a lungo di noi, delle vite nostre e dei nostri amici. Io da
vicino, accalorandomi molto e prendendo tutto molto a cuore, lui da lontano
senza mai scaldarsi per nulla. È nelle sue calme e nelle sue ire molto
democratico, prendendosela con l’uno o con l’altro senza pregiudizio ma solo
col suo giudizio immediato, che è sempre all’inizio molto sicuro e netto. È in
verità un moderato, anche se lui si ritiene mediocre. Così mi disse una volta,
come dice tutte le cose su di sé, come fossero dati di fatto che nulla hanno a
che fare con lui. Quei suoi dati di fatto lo fanno però soffrire in un modo
silenzioso e sotterraneo. Io non penso che sia mediocre nel senso che si dice
lui e in nessun senso. Penso invece che abbia il dono di cogliere con la
sensibilità sua cose molto complicate e spiegarle nella maniera più semplice.
Io invece affronto le cose più semplici rendendole enormemente complesse.
Lui
e io piacciamo sempre molto ai nostri vari padroni di casa, perché siamo
giovani e ci vogliamo molto bene. Una volta una di loro, francese, mi disse quando
eravamo sole a bere un succo d’arancia in giardino, che lui le piaceva perché
era humaine. Io pensai che era quello
che piaceva anche a me più di tutto in lui. Piacciamo molto anche ai nostri
amici più giovani, che vengono i pomeriggi nella nostra casa e quando ci
guardano vedono come qualcosa di stabile e terrestre. Noi ci guardiamo e ci
sorridiamo con estrema dolcezza ed è allora che sappiamo bene quante volte ci
siamo sballottati nel nostro mare in tempesta e quante volte abbiamo rischiato
di cappottarci con tutto quanto, e in quel momento ci sentiamo quasi eroici
nell’aver solcato con coraggio il nostro amore.
Siamo
entrambi molto melodrammatici e “melodrammatico” è un aggettivo che ci piace
ripeterci un po’ con scherno un po’ con rispetto. Io lo sono con grandi furie e
scene e urla, lui sprofondando a volte nel più nero pessimismo, scoppiando da
lì dentro in pianti da bambino, quelli in cui navigano, annacquate, parole
sconnesse e in quelli lui vuole solo restare a piangere e che lo si abbracci.
Era
lui una volta un gran reazionario, più per una fedeltà di principio che per
convinzione. È infatti una persona che ama l’ordine e che le cose siano
sistemate al proprio posto, potendo restare a guardare per ore quei video in
cui gli oggetti si incastrano perfettamente oppure vengono tagliati lungo
precise linee rette. Io sono inglobata dal disordine, interiore e esteriore. Ma
in quel caos primigenio, in cui galleggio come un feto, vedo pianeti e
costellazioni e mi sembra di capirli chiaramente per un attimo prima che mutino
e si cambino in un caos nuovo e sconosciuto. In quel disordine mi colpiscono,
pure, come meteoriti dei pensieri fissi in certi periodi della mia esistenza, dei
tigni, delle battaglie che mi rendono coraggiosa, insofferente, generosa e
cattiva. E così passo lunghi pomeriggi a pensare della costituzione,del libero
amore etero e omosessuale, del valore del femminismo oggi, della necessità di
inclusione dell’altro. Quando scrivo però prevale la rabbia e finisco a scrivere
per lo più parole infuocate contro i razzisti, i maschilisti, gli opportunisti
e i furbi. E ce l’ho sempre e in maniera lamentosa e scontenta con tutti i
potenti e i governi che si sono succeduti.
Lui
ora è un po’ meno reazionario e a me piace pensare che è per quelle parole
infuocate che io gli dico in quei lunghi pomeriggi in cui scrivo contro. Ma in
verità penso che sia rimasto deluso dall’ordine e da quelli che lo
professavano, avendo visto che è tutto un caos e nessuno è sincero o fa bene
quello che dovrebbe fare. Certe volte vagheggia di fare un governo con a capo
sé stesso e mi dice che io sarei il primo ministro o il ministro
dell’istruzione. Io gli dico che non mi va di fare il primo ministro e in
generale nessun ministro, solo magari se ci fosse un ministro dell’ascolto e io
potessi mettermi lì ad ascoltare una a una le persone per capire cosa chiedono
e se lo sanno davvero quel che vogliono.
Lui
è capace di piacere a qualunque essere umano si fermi a parlare un po’ più a
lungo con lui, di qualunque età, genere e convinzione sia, e io penso che è per
quel suo essere humaine che diceva la
francese. È aperto e fermo nell’ascoltare, ma non condiscendente. Io, invece,
quando le persone mi si confessano, mi affretto subito a giustificarle ai loro
occhi, pensando che in quel momento soffrono e che sta a me alleviare la loro
sofferenza. Lui è di una bontà profonda, intatta e inestirpabile, ma a volte si
incattivisce su piccole cose come i bambini, diventando allora maligno e
dispettoso. È però, quando glielo si fa notare, capace di pentirsi e ammettere
naturalmente il proprio torto. A me costa moltissimo ammettere il mio torto ed
è per questo che vivo attentissima a non far torto a nessuno, ma la cosa a
volte mi dà una grande spossatezza. Le persone che mi vogliono bene dicono che
anche io sono profondamente buona, ma io non lo credo e faccio con lui lunghi
pianti per il fatto che sono una persona orribile e cattiva. Lui mi consola e non
crede affatto che io sia orribile e cattiva, allora mi sento ancora di più una
menzognera, capace di ingannare chiunque.
Lui
ha l’idea di sé stesso come una persona molto ordinata, pratica e fattiva. Non
è in realtà, al di fuori del lavoro, nessuna di queste cose, perdendosi nella
vita domestica nelle più piccole minuzie. La nostra casa è piccola e piena di
roba buttata un po’ ovunque, con su una parete una grande scatola marrone con
un armadio a muro da montare su cui lui riponeva grandi speranze di riordino,
ma che non abbiamo mai più montato dopo averlo allegramente comprato. Abbiamo
anche molti quadri senza cornice che teniamo stesi come tovaglie su una grossa consolle di legno e un piccolo quadro di
un certo Lemonnier francese che abbiamo preso a Parigi e che ci rende molto
fieri perché è il primo e solo quadro di autore che abbiamo comprato, e ci
piace ripeterci “il nostro Lemonnier” come fosse un grande quadro di un noto
autore. Quando lui, stanco delle robe accatastate e del poco spazio, dice che
dobbiamo trasferirci e mi trascina a vedere case grandi, brutte e impersonali,
io gli dico “ma non abbiamo mai appeso nemmeno i quadri!” con un tale tremolio
accorato nella voce che lui si sgonfia e dice che va bene, traslocheremo
un’altra volta. Intanto i quadri restano lì, stesi come tovaglie, e ogni giorno
ci passiamo davanti e pensiamo di appenderli ma non lo facciamo.
A
tutti e due piace viaggiare, ma lui lo farebbe in modo svagato, impreparato e
libero. Io invece devo studiare il posto, studiare gli hotel e scrivere in una
lista tutto quello da portare. La prima gita che facemmo insieme, lui mi disse che
saremmo andati per un giorno nella natura e mi indicò un’oasi piena di alberi e
di cascate. Indossai allora, in modo che a me pareva appropriato, un pantalone
verde militare con molte tasche e una maglietta pure verde militare e avevo
sulle spalle uno zaino e un sacco. Quando gli aprii la porta lui scoppiò a
ridere, e poi per l’intero giorno tutte le volte che mi guardava in mezzo agli
altri vestiti normali. Ancora oggi quando ci ripensa viene preso da una così
genuina allegria che io quasi lo invidio e vorrei essere stata lui in quel
momento in cui gli ho aperto la porta in pantaloni militari verdi e maglietta
verde e sacco in spalla.
Mi
piace di noi quel modo che abbiamo di avvertirci
anche quando non ci capiamo e litighiamo su di noi o su un certo nostro
amico, su un fatto di politica o sull’educazione di ipotetici figli che forse
avremo. Succede le volte in cui litighiamo seriamente, e io tremo di rabbia e lui
fuma e beve e legge, che pare che siamo lontani nel tempo e nello spazio pure
essendo nella stessa stanza e allora è come se quel nostro avvertici sia
relegato in un sotterraneo minuscolo che io vedo come da una finestra lontana e
penso che sarà troppo stretto e che questa volta non riusciremo a tornarci. E
quel nostro sbatterci e urlare l’uno contro l’altro è nient’altro il tentativo
di entrambi di tornare in quel sotterraneo in comune e la paura di perderlo. Ma
poi succede sempre che l’uno o l’altro ci torni e la finestra allora è come se
si allargasse e la sentissi all’improvviso vicinissima nel cuore. Quelli sono i
nostri momenti migliori, in cui ci sentiamo più veri e coraggiosi e ridiamo e
piangiamo e tutto il mondo alla fine entra in quel sotterraneo che è diventato
enorme, caldo e accogliente.
Quando
ancora non stavamo insieme era per me lui il metro di paragone di tutti gli
altri uomini e però sempre lo sfuggivo. Lui invece sapeva fin da ragazzo che
era me che voleva e questo non lo faceva fuggire, guardandomi nella mia fuga
sempre da un punto che a me pareva lontano, solido e fisso. Se gli succedeva,
però, qualcosa di brutto io soffrivo come fosse successo a me stessa, e tornavo
a consolarlo in quel punto solido e fisso e mi ci trovavo bene come se ci fossi
sempre rimasta.
Io
qualcosa so e qualcosa ricordo, ma a volte penso di non ricordare e ho paura
del mio cuore muto, arido e vuoto. Lui davvero non ricorda, avendo una memoria
che è sottile e acquosa, ma il suo cuore è sempre pieno, irrorato e coltivato
come un giardino. Lo ricordo in ogni evento importante della mia vita, vicino a
me, con la sua faccia tranquilla, lieta, speranzosa e viva. Non ci diciamo mai
niente riguardo al futuro, io perché il futuro me lo figuro sempre pericoloso,
nero e difficile, lui perché sa che i piani a lungo termine mi rendono
selvatica e spaventata come in trappola. E però se dovessi immaginare il
futuro, sarebbe per me in quel sotterraneo con una sola finestra e dentro
sempre ci sarebbe lui, come in tutte le cose importanti della mia vita, con quei
suoi occhi amorosi, lieti, speranzosi e vivi.